FAVOLE

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martedì 11 aprile 2017

SENZ'ARROSTO

SENZ'ARROSTO




PRIMA PARTE

Che brutta Pasqua! Al contrario degli altri anni, quella sera nella casa patriarcale  di Giovanni Moltacorda, fittabile alla cascina Benpensata, il pranzo, di solito così allegro  e giocondo, era stato il pranzo del malumore.

Sfido io ! Quando il vecchio papà Giovanni trovava a ridire su qualche cosa, era finita! Non aveva riguardi per nessuno, né per il figli, né per i nipoti, né per i generi, né per le nuore.

Il padrone di casa alla fin fine era lui. Il capo della "sacra famiglia" era lui. Poteva quindi imporre la sua volontà ed anche i suoi malumori, no?

Ma che diamine era successo quella sera? Un fatto ben grave.

Papà Giovanni borbottava ormai da un'ora:
- Domando io! Una Pasqua senza l'arrosto di capretto.     Con tante donne in casa. Donne che pretendono di saperla lunga. Sì! Bel sapere! Di lungo, non hanno che la lingua!

E le donne di servizio che ci stanno a fare? Tutto  il giorno con le mani alla cintola. E la fattoressa? E il guardiacaccia? E il camparo? Tutti fannulloni. Possibile che nessuno della casa avesse pensato a provvedere il capretto? Santo cielo! Lo sapevano pure ch'egli ci teneva alla tradizione!

A Natale, risotto, tacchino e panettone di Milano. Al primo dell'anno, salato e la torta tradizionale con tanto di fava. Alla Pentecoste  gli agnolotti in brodo, e a Pasqua le uova con le olive e l'arrosto di capretto. Non c'era tanto da ridere. Bisognava rispettare le vecchie usanze, altrimenti dove si andava a finire? Addio famiglia patriarcale, addio unione, addio forza!

Fare delle novità? Modernizzare? Sì, per andare in rovina. Si doveva fare quello che i vecchi avevano fatto sempre, Tanti pasticcetti, perché? e il pudding e le salsette alla francese? Roba che guastava  lo stomaco e toglieva tutta la poesia di certe giornate di festa? Uff! proprio vero: non c'era più religione, non c'era più sentimento, più niente.

E tòm tòm e tòm tòm.... il borbottìo di papà Giovanni continuava come se in cucina avessero messo a bollire delle castagne.

Povera signora Matilde! La moglie, si sa, era quella che più ne soffriva. La poverina, una vecchietta tutta pelle e tutta occhiali sul naso, era sempre là, seduta vicino al consorte brontolone, rassegnata a sentire ed anche a dare ragione. Ma gli altri?

Oh! Gli altri, quella sera, vista la mala parata, erano scomparsi. Ad uno ad uno, alla chetichella, in punta di piedi, avevano riparato in un'altra sala e là raccolti ridevano, di soppiatto, del vecchio Giovanni e delle sue fisime.

Intanto mamma Matilde cercava di calmare le ire del nume.
- Andiamo, Giovanni, non prendertela tanto a male: sì, hai ragione. E' stata una dimenticanza; ti do parola, un cosa simile non accadrà più!

- Se capitasse....guai! - aveva esclamato con voce cupa il signor Giovanni.  - Per l'anno  venturo, ascoltami bene, ne do l'ordine formale sin d'ora; sei mesi avanti acquisteremo un capretto, così per la festa di Pasqua non mancherà l'arrosto. Ho detto! e basta!

E su quell' "ho detto e basta!" il vecchio fittabile si era alzato dalla sua poltrona, aveva preso un lume e, brontolando ancora fra i denti, si era recato a dormire. La sua giornata era finita.


SECONDA PARTE

L'ordine era stato formale e preciso.

Sei mesi prima di Pasqua, il caprettino era acquistato. L'arrosto era assicurato.

Quel caprettino era davvero curioso: tutto bianco, con una macchia nera sulla fronte, precisamente sopra l'occhio destro; un musetto roseo, lungo, affilato; la bocca aggraziata; una fila di bei dentini che parevano d'avorio; le orecchie corte aguzze; due occhi azzurri come il cielo; le due zampine davanti agili e delicate con movenze gentili da gattina innamorata; infine una piccola coda corta che finiva con un piumino simile ad un batuffolo di bambagia.

Quando il caprettino teneva la testa diritta, col musetto  in alto, socchiudendo di tanto in tanto l'occhio destro, assumeva un'aria così scaltra e birichina che faceva  ridere. Quella macchia nera a sghimbescio, quello strizzare  dell'occhio, quell'agitarsi del codino avevano un certo non so  che di comico che piaceva; dall'altra parte lo sguardo era così dolce e malinconico che destava un vero senso di commozione. Insomma quel caprettino bisognava amarlo ad ogni costo.

Alla cascina Benpensata l'arrivo del capretto fu un avvenimento. Non vi parlo dei nipotini di papà Giovanni! Una festa! Un delirio! Gigetto, appena lo vide, esclamò:
- Oh bello,  ecco Caprin!

Caprin? Si trovò che quello era  un bel nome, e la bestiola fu così battezzata. Papà Giovanni, soltanto lanciò una occhiata diffidente:
- E' un po' magro - disse - bisognerà  ingrassarlo, altrimenti a Pasqua rosicchieremo delle ossa!

Ingrassarlo? Figurarsi! Otto giorni dopo l'acquisto, Caprin era diventato i  padrone della cascina. Tutti i buoni bocconi erano per lui.

In casa, sotto i portici, nei cortili, nelle stalle, dappertutto, una voce sola:
- Caprin! Caprin! Caprin! - Tutti lo chiamavano, tutti lo volevano.

Caprin però non aveva preferenze. Dove c'era un pezzetto di zucchero da gustare, dove lo attendeva una carezza, egli era là, di corsa, saltellante, vivace, allegro, gentile. I bambini ne facevano di ogni colore: giocavano, ridevano , si rotolavano per terra con lui. Un vero compagno, un amico, un fratello.

E quante cose aveva già imparato!
- Caprin! qua la zampa!
E Caprin con un grazioso movimento offriva la zampina.
- Caprin! al salto!
E Caprin faceva la capriola.
- Caprin! Ora ti uccido! Pum! Morto!
E Caprin si buttava a terra, disteso, socchiudendo gli occhi.

Al mattino, chi suonava la sveglia? Era Caprin. Egli entrava in tutti le camere. D'un salto era sul letto, si avvicinava al dormiente, lo urtava con la testa, lo toccava con la zampina.
Pareva dicesse:
- Su dormiglione! Svegliati! E' tardi, sai?

Nelle giornate piovose se ne rimaneva in casa, accovacciato ai piedi della padrona. Era una gioia per la signora Matilde tenerselo vicino, accarezzarselo proprio come un altro figliuolo. Chi non amava Caprin?


TERZA PARTE

Sei mesi son molti, ma il tempo vola, purtroppo! L'inverno era finito. Fiorivano le rose. La primavera era splendida. La campagna attorno alla cascina Benpensata rideva tutta sotto un cielo  purissimo, accarezzata dalle dolci brezze di marzo. La natura ritornava alla vita, tutto sembrava avvolto da una folata di gioconda poesia. Le persone soltanto pareva non partecipassero a quel risveglio, a quella gioia primaverile.

Perché?

Pasqua si avvicinava. Caprin doveva morire! Doveva morire? Certo. Erapo il patto. Lo sapevano tutti, dalla vecchia signora Matilde all'ultimo contadino della cascina; eppure nessuno di loro voleva parlarne per primo. Pareva fosse un mistero, un'angoscia segreta  dell'anima  di tutta quella buona gente.

Caprin? Con quel musetto, con quegli occhi dolci e languidi, con quella zampine gentili, doveva essere sacrificato, brutalmente sacrificato  sull'altare della tavola.

L'avevano acquistato appositamente. L'avevano nutrito, accarezzato appunto per averlo più grasso, più saporito. Non era stato un tradimento continuo?

Tante cortesie, tanti buoni bocconi, tante moine, perché? Per rendere più appetitoso il piatto di Pasqua! Come sono vili ed egoisti gli uomini! Migliori le bestie, mille volte! Più sincere, più buone.

Ah, se non ci fosse stato papà Giovanni! si sarebbe potuto modificare, dare uno strappo a ciò  che s'era convenuto. Ma con quell'uomo ostinato e terribile, chi poteva aver tanto coraggio da proporre la salvezza di Caprin?

Venne  il giorno tremendo. La  famiglia Moltacorda era tutta riunita nel tinello per il solito pasto mattinale. Papà Giovanni ad un tratto uscì a dire:
- E così, figlioli?  Quando si ammazza questo capretto? A Pasqua non mancano ormai che dieci giorni!

La proposta, sebbene preveduta, sebbene attesa da tutti con ansia e con terrore, giunse come inaspettata. Fu un fulmine a ciel sereno.
La conversazione era troppo penosa. La signora Matilde volle troncarla:
- Va bene! Va bene! Domani!

E venne il domani.
- Ammazzato il capretto?
Come era ostinato papà Giovanni!
- Domani! Domani!
Ma anche domani, Caprin era vispo quanto mai.

Papà Giovanni questa volta cominciò a gridare:
- Come va questa faccenda? Ancora il capretto vivo? Avevo ordinato di ammazzarlo! Quando si vuol aspettare? Quando saremo alla vigilia e non avremo più tempo?

La signora Matilde bruciò le ultime cartucce. Arditamente propose di acquistare  dell'altro capretto e lasciare che Caprin corresse libero nei campi. Via, doveva averla capita anche lui, a quella bestiola si erano affezionati tutti alla cascina! Per i nipotini era un trastullo, una compagnia.

Tutto fu vano: Papà Giovanni non volle sentire ragioni.
Mantenere un altro animale. Sì, con le annate così scarse! E poi! Perché si erano cercati dei sotterfugi per tenerlo in vita questo caro Caprin? Oramai c'entrava  anche il puntiglio. I nipotini si sarebbero divertiti con le bambole e coi pupazzi. Niente! Caprin doveva morire!

- Lorenzo, presto, va' in dispensa e scanna quel capretto!

Lorenzo, il figlio maggiore, fu pronto a parare la botta.
- Non posso, papà. Ho già attaccato il biroccio e devo trovarmi in paese con un mediatore. Ho un appuntamento.

- Allora tu, Bernardo.

Bernardo fu più sincero:
- Papà, prendi chi vuoi, ma non dare a me un incarico simile.

- Come, ti rifiuti?
- Cosa vuoi? Ho preso ad amarla quella bestia... sarà una grulleria, ma tanto è più forte di me... Povero Caprin!... No, no... , io no!

Papà Giovanni cominciava a sbuffare.
- Dov'è il camparo?

E il camparo comparve.
- Presto! Prendi Caprin: va' in dispensa e scuoialo!

Il camparo  prese Caprin fra le braccia, andò in dispensa e vi si chiuse dentro. Tutti quelli di casa intanto si erano rifugiati nelle loro stanze. A far che? Io non saprei; solo posso dirvi che più tardi, quando  uscirono, molti avevano gli occhi gonfi.

Passò un'ora.

Papà Giovanni era solo, nel suo studiolo, intento a far conti.
Ad un tratto la porta si aperse.
- E' permesso?
- Chi è?
- Sono io. - era il camparo.
- Oh sei tu, Bertoldo? Hai fatto quello che t'ho ordinato?
- Ah, signor padrone!
- Che c'è?
- Ah, signor padrone!
- Avanti...
- Ah, signor padrone!
- In malora! Se non ti spieghi...
- Quando devo dirla schietta... io no ho avuto   il coraggio!
- Anche tu? Ma v'ha stregati tutti quel maledetto?
- Ah, signor padrone!
- Va' al diavolo anche tu col tuo signor padrone!
- Se provasse! Non si può... fa certi occhi!
- Sapete che v'ho da dire? Che siete tutti quanti delle femminette, dei conigli, dei buoni a nulla!
- Creda... non si può... se provasse...
- Sicuro che proverò. E vi farò anche vedere che un uomo non deve avere tante malinconie per la testa.

E dette queste parole, papà Giovanni uscì infuriato.
Caprin come al solito, giocava nel cortile.

- Ah sei qui, lazzarone furfante? Andiamo... Vieni... To'... Caprin... Caprin...

E Caprin ubbidiente e rispettoso, saltellando, col musetto in alto, dimenando il codino, seguì il padrone nella dispensa.




QUARTA PARTE

Papà Giovanni aveva fretta. Nella dispensa era solo. Molto meglio! Non vi sarebbero state tante smorfie, tanti sdilinquimenti di donna!
Oh per Diana, avrebbe fatto vedere lui come si eseguono certi ordini senza tentennare, senza dubitare, a colpo sicuro.
Aprì una cassapanca. Ne levò un coltellaccio enorme, lungo e affilato.
- Qua... vieni qua... galantuomo... La vedi la ghigliottina?

E così dicendo, papà Giovanni agitava in alto il suo coltello.
Caprin alzò il bel musetto roseo e guardò. A dirla schietta, pareva non desse una grande importanza alla cosa, perché diede una dondolatina con la testa, poi alzò la zampina destra, annaspando l'aria!
- Quanto sei buffo! Mi fai ridere davvero con quel muso.

Si sedette, poi riprese:
- Lo sai che fra poco, là, sarai morto?

Alla parola "morto", Caprin sembrò ricordasse il suo gioco preferito. Non stette in forse, si lasciò cadere a terra disteso, socchiudendo gli occhi.
- Giochi, anche?! Hai un bel coraggio! Bravo!

Ma Caprin non si muoveva.
- Ho capito... tu vorresti girare la situazione e cavartela a buon mercato con qualche scherzetto... Eh sì, c aro! A me non la si fa!... Animo dunque... vieni qua... Caprin! To'...

Caprin ubbidì, senza esitare, alla chiamata. Quando  fu vicino, si rizzò col corpo ed appoggiò le sue zampine sulle ginocchia del suo carnefice.
Nella dispensa si fece un silenzio di morte. La destra che brandiva il coltello si alzò. In quel momento Caprin appoggiò il musetto roseo sulla mano sinistra di papà Giovanni e senz'altro cominciò a lambirla con la lingua, baciandola.

Gli occhi del vecchio fittabile si incontrarono in quelli del caprettino.
Lo sguardo di Caprin era dolce, era pieno  di malinconia e di bontà. Sembrava  una carezza.

Papà Giovanni sentì quella carezza. Un brivido gli corse per le ossa. Tremò ed il coltello  cadde a terra.
No, non era possibile.


QUINTA PARTE

Quando papà Giovanni uscì dalla dispensa, trovò Matilde che lo aspettava.
- E così - domandò ansiosa la buona signora - hai proprio voluto?...

Non poté finire: Caprin più allegro e vispo di prima correva già per il cortile.

- Eccolo! Eccolo! Non l'hai ammazzato? Bravo! Bravo!
- No! Non  l'ho ammazzato!
- Lo volevo  dire io! Tu sei tanto buono e non potevi...
- Ma che buono! non voglio che tu creda che a me sia mancato i coraggio come a tutti i conigli della mia famiglia! Non crederai questo, spero, Altrimenti ti faccio...

La signora Matilde non gli diede il tempo di finire la frase.
- No! no! per carità! Ti credo! Ti credo!
- L'ho lasciato vivere perché... perché... perché era inutile... perché non serviva.
- Vero? Così si accontentano i bambini, e poi il capretto per l'arrosto di Pasqua lo possiamo prendere dal macellaio.
- Ma che bambini! Ma che macellaio! Volevo proprio darla vinta ai bambini, io!
- Come? Si dovrà pure...
- Che cosa? Prendere dell'altro capretto?
- Già!
- Ma non l'hai ancora capita che se volevo mangiare l'arrosto, mi sarei servito di Caprin? Gli è che...

E qui papà Giovanni si trovò un po' impacciato a proseguire. Per la prima volta, nella sua vita, era costretto a mentire sfacciatamente, a sua moglie. Ma, tanto, bisognava uscirne con onore.
Si fece coraggio e riprese:
- Gli è che quest'anno ho deciso di... di... cambiare! Sicuro! Sono stufo! Oh, questa è curiosa! Non ho forse il diritto di essere stufo?
- Tu?
- Io... io... Ne ho abbastanza del capretto... Che si debba sempre il capretto arrosto a Pasqua? Perché? Forse perché lao mangiavano mio padre e mio nonno? Bella ragione! Allora dovrei andare a Milano a piedi perché i nostri vecchi non avevano la ferrovia. Ti pare?
- Sì... sì... figurati... però... le tradizioni...
- Ma che però!... Ma che tradizioni!

E con quanto fiato aveva in corpo, papà Giovanni si mise a gridare:
- Non voglio capretto! Al diavolo tutti i capretti cominciando dal tuo Caprin! Hai capito? E basta, ho detto!

Così, per la seconda volta, incassa di Giovanni Moltacorda fittabile della cascina Benpensata, al pranzo di Pasqua, la famiglia rimase senza arrosto.